Il pettine, l’Apecar, la frattura e noi

Tutti i nodi prima o poi vengono al pettine. E a Taranto in questa caldissima
estate un’ Apecar con un’andatura lenta e barcollante alla testa di un quarto
stato contemporaneo ha messo a terra tutte le contraddizioni che in questi anni
hanno attraversato i movimenti, facendo irruzione in una piazza mortifera e
mandando all’area tutti i possibili copioni del “festival del lavoro”
organizzato da CGIL, CISL e UIL il due agosto.
Quella che si è consumata a Taranto non è per noi solo la cristalizzazione del
conflitto tra capitale e vita. Non è solo la denuncia e cacciata dei sindacati
filopadronali dalla fabbrica. Quello che è accaduto a Taranto è molto di più.
E’ la comunità del rione Tamburi, i precari, i disoccupati e in prima battuta
gli operai della fabbrica stessa, che rifiutano di farsi schiacciare ancora una
volta da un ricatto occupazionale e cercano di rovesciarlo. Ricatto che quando
l’Ilva si chiamava Italsider e le morti che portava a Taranto avevano il
marchio dello Stato, era ordito dal pubblico (lo stessa gestione pubblica che
ha segnato i sogni, gli orizzonti, il colore del cielo e persino l’urbanistica
di una Taranto che sembra uscita da una cartolina del socialismo reale) e ora
invece, dopo la svendita della fabbrica, continua a essere attuato dal privato,
una gestione comunque capace di speculare anche sugli aiuti dello Stato, grazie
a finanziamenti di bonifiche più volte erogati , ma mai realizzate.
E poco importa se, al dato di oggi, il tribunale conferma il sequestro degli
impianti Ilva, vincolandolo però alla messa a norma e non alla chiusura degli
stessi, perchè quello che è accaduto a Taranto rappresenta un vigoroso punto di
inflessione. E’ la costruzione fuori e contro la fabbrica di nessi sociali, di
una ricomposizione larga, è la saldatura di nuove e radicali alleanze. E’ la
caduta, in ultima istanza, dell’elemento centrale che in Italia ha tenuto in
piedi per decenni forza padronale e rappresentanza sindacale e che ha
depotenziato i conflitti sociali e le battaglie per la costruzione di un
welfare degno di questo nome: l’apologia del lavoro, l’ossessione salariale, la
paranoia da piena occupazione.
Una caduta pesante, simbolicamente ma anche praticamente. E’ una caduta che
innervosisce e fa perdere lucidità alla controparte (in primis ovviamente la
controparte più vicina alla linea di frattura) che inizia a dare patenti di
parassitismo sociale (cfr. Landini su Repubblica il quale evidentemente non ha
mai fino in fondo compreso cosa fosse il reddito garantito) e arriva ovviamente
alla repressione (più di quaranta compagni denunciati dai sindacati stessi per
aver spostato qualche transenna).
Per questo il messaggio è arrivato forte e chiaro: reddito e diritti contro il
ricatto occupazionale, senza accettare fallimentari elargizioni caritatevoli
(vedi qualche misera e becera legge regionale sperimentata in Campania o nel
Lazio) o dispositivi mediati dai sindacati di cassintegrazione.
Per non parlare di proposte di legge che rivendicano il diritto al reddito con
cifre molto inferiori persino alla soglia di povertà.
Reddito, invece come orizzonte di conflitto, attacco ai profitti e
redistribuzione della ricchezza per i soggetti precarizzati dalla crisi nel
contesto di austerity.
Per questo quello che è accaduto a Taranto parla oltre i cancelli dell’Ilva,
parla a tutta Italia ed all’Europa, e dimostra che il concetto di non
rappresentanza politica e istituzionale si sta traducendo in una rotta
indipendente di attivo protagonismo di trasformazione sociale.
Quello che è accaduto in questi giorni in Italia è una caduta che, oltretutto,
avviene nell’agosto dello spread e che sbeffeggia persino la  mitologia dell’
“economia reale (tutti in fabbrica!) contro l’economia finanziaria” che qualche
furbetto voleva utilizzare per la propria campagna elettorale (che poi altro
non è che un dispositivo retorico per ulteriormente muoversi dentro l’infausta
tradizione del “lavoro bene comune” italiota).
Insomma quello che è accaduto a Taranto è innanzitutto un punto di chiarezza.
E’ un solco tra il secolo passato e questo secolo; è un solco profondissimo tra
quelli che dicono “riaprite la fabbrica” (l’1% che potremmo rappresentare con
un elenco lunghissimo dal Papa alla Fiom) e una comunità che supera anche
l’ambientalismo civista che era stato in qualche modo persino funzionale alla
reiterazione del dramma Ilva con il suo settario minoritarismo; è un solco che
segna la differenza tra noi e loro.
E’ un solco in cui da una parte c’è una comunità larga che si dispone, pratica
e si organizza nel conflitto e dall’altra ci sono i pretoriani dello status
quo, i crumiri, i poliziotti, i potentati economici.
Quello che è accaduto a Taranto per noi fa storia perchè sgombra il campo
dall’ambiguità e costruisce l’unità dentro la crisi dal basso, fuori da ogni
tentativo di sommatoria politicista di ceto politico.
Sgombra il campo dalle ambiguità e sottolinea l’irrappresentabilità e
l’indipendenza del comune nel momento in cui lotta per la propria esistenza.
Taranto, in questo contesto, rappresenta una condizione globale dell’odierno
conflitto: un’intera comunità schiava della logica del profitto che paga, in
termini di vivibilità, salute e devastazione ambientale la necessità di
riproduzione di un rapporto sociale arroccato sul bisogno unico di accumulare i
frutti della ricchezza sociale prodotta, attraverso l’imposizione di rapporti
di lavoro insostenibili, con il ricatto costante della componente del lavoro,
in nome di una produttività spinta all’estremo senza alcuna tutela del
territorio e dei lavoratori stessi; utilizzando, da un lato, tecnologie
obsolete, negando e distruggendo, dall’altro, la vocazione territoriale verso
forme produttive diverse e compatibili con i bisogni sociali ed ambientali
della popolazione locale.
Il conflitto tra il bisogno sociale e l’ordine che stabilisce la divisione
internazionale della produzione, su scala globale, esprime oggi tutta l’
incompatibilità tra i poli di una contraddizione che non si risolve con
mediazioni di maniera.
Oggi, la crisi si ritorce sul mondo del lavoro, della precarietà e del non
lavoro, facendo pagare i suoi costi insostenibili su tutti segmenti di classe;
oggi, la nostra risposta alla crisi del sistema non può che essere una
richiesta di reddito incondizionato che, proprio a partire dalle situazioni
simbolo, come quella di Taranto, supera la logica e la retorica lavorista per
rivendicare un diritto all’esistenza fuori dai rapporti sociali di produzione
capitalistici.
Ora sarebbe quindi utile interrogarsi non su come “esportare” un modello che è
evidentemente difficilmente riproducibile per specificità e numeri, ma su come
fare di Taranto, della battaglia fuori e contro l’Ilva una battaglia comune.
Una battaglia che parli al precariato diffuso, che parli ai disoccupati e alle
disoccupate, che parli a tutta quella moltitudine che la crisi stà stritolando
in un ricatto esistenziale del tutto simile al ricatto occupazionale che nel
Mezzogiorno conosciamo bene e che è sovrapponibile al ricatto della precarietà.
Per questo crediamo innanzitutto fondamentale esprimere la nostra più
completa, incondizionata solidarietà e complicità al Coordinamento cittadini e
lavoratori pensanti di Taranto ed alle denunciate e denunciati.
Ed è per noi importante discutere e rivedersi fuori dai cancelli dell’Ilva con
la complicità di tutti quelli a cui questa battaglia parla, non solo a Taranto.
Una prima occasione di confronto utile sarà Adunata Sediziosa a Napoli il 15
Settembre. Crediamo sia importantissimo in quel momento, insieme a tutti quei
contesti che svilupperanno conflitti nell’autunno, dotarci del lessico comune
dal profondo sud est al profondo nord ovest.
Il lessico comune di tutte quei soggetti che difendono la vita contro il
capitale, di tutte quelle comunità che rivendicano e si riappropriano
di reddito fuori e contro il lavoro che oggi più di ieri è a tempo
determinato, a nero, sottopagato, senza garanzie e nocivo. Un lavoro che non
solo non è bene comune ma è evidentemente un’arma formidabile di ricatto sulle
nostre vite.
Dovremo tornare tutte e tutti a Taranto.
Fuori e contro i cancelli dell’Ilva.

Villa Roth Bari – Comitati di quartiere Taranto: Città vecchia, Salinelle,
Paolo VI – Area Antagonista: Lab. Okk. Ska – C.S.O.A. Officina 99 Napoli – C.S.
O.A. Asilo 45 Terzigno – C.S.O.A. Rialzo Cosenza– L.O.A. Acrobax Roma

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